Il brano di vangelo di questa domenica si apre con questa importante precisazione dell’evangelista: Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due. Gesù chiama a sé i discepoli per poi inviarli. In questi due movimenti è mirabilmente sintetizzata l’esperienza del discepolato.
Il primo movimento consiste nella consapevolezza di essere chiamati direttamente da Gesù a vivere una esperienza di profonda intimità con Lui; non ci sono ‘autocandidature’ né l’eventuale assunzione di uno stile ‘fai da te”. A chiamare è sempre Gesù. L’iniziativa, sovranamente libera, è sua.
Il secondo movimento, invece, indica la modalità con la quale dev’essere portata avanti la missione: “a due a due”, cioè nell’unità, come espressione di una comunione fraterna, costantemente preceduta dalla comunione personale con Gesù.
Questi due movimenti quello del “chiamare a sé” da parte di Gesù e dell’inviare “a due a due” mi fa venire in mente quello che avviene di continuo nell’organismo umano attraverso l’esperienza della respirazione.
Finché respiriamo rimaniamo in vita; nel momento in cui non respiriamo più è segno che siamo già morti. Allo stesso modo si può dire che fino a quando ci si lascia chiamare da Gesù e si sta con lui per essere, poi, inviati da lui, la nostra esperienza ecclesiale è una esperienza di vita e che diffonde vita; quando, invece, non si è più disposti a stare “con Gesù” e non ci si lascia “inviare” da lui sopraggiungerà inesorabilmente l’esperienza della morte spirituale.L’intimità con Gesù precede sempre l’esperienza della missione.
Lo stesso evangelista Marco questa esigenza l’aveva espressa con chiarezza al momento del racconto dell’elezione dei dodici al cap. 3: “Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare”(v.14).Stare con Gesù non è un “optional” per un discepolo.
E’ fondamentale quanto il respiro per una persona che vuole continuare a vivere.
Ma nello stesso tempo l’esperienza di “rimanere” con Gesù, se è autentica, non è altro che il trampolino di lancio per andare verso gli altri.
In un libro di Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, che sto leggendo in questi giorni l’autore scrive: “La chiesa c’è per dire e donare Cristo al mondo e portare il mondo a Cristo”.
E’ proprio vero: come cristiani ci siamo “per dire e donare Cristo”.
Ma per poterlo “dire” e “donare” al mondo è indispensabile lasciarsi chiamare e inviare da Lui.
In piena obbedienza e docilità alle sue indicazioni che ci richiamano sempre allo stile della sobrietà e al gusto dell’essenziale.
p. Enzo Smriglio